Tutto in una notte...



Giorno. Sogno a colori. Sono alla posta centrale della mia città, dove realmente lavoro. Un collega mi chiede dove si trovi una strada, e io rispondo "Lì, dopo il ponte" "Ah, sì, ho capito" "Eh, dietro casa di mia zia" (ANCORA!!! Quella strada NON esiste in realtà e NON abita lì mia zia... ma che stracazzi di collegamenti fa la mia testolina???). Ci consegnano dei telegrammi e io e il mio collega partiamo. Dallo stradone che porta a destinazione vedo tra i palazzi diversi ciuffi di enormi palloncini colorati a forma di cuore. Ci perdiamo e cominciamo a girare per le viuzze della zona. Ci ritroviamo in una specie di cortile privato, che vedo da MOLTO in alto, in terra gialla, tipo ranch del far-west; intorno, una tettoia, una serie di barili, uno steccato in legno, una pompa a manovella per il pozzo, forse degli animali. Il collega però è più bravo di me con il motoposta, perciò lui attraversa facilmente il cortile e io no. Mi fermo davanti al cascinale, osservo dall'esterno... sembra tutto molto in disordine. Entro e mi accoglie una famiglia composta da: padre calvo, madre insipida, figlio bonazzo e maledetto tipo Beckam, col capello lunghetto, seduto davanti al PC, e un figlio piccolo (che non vedo). Il padre attacca bottone chiedendo "cosa fai nella vita?" (anche se ho il giubbottino da postino) e io rispondo "sono cantante lirico". Il figlio bono alza lo sguardo dal PC, si gira lentamente di tre quarti e col sopracciglio alzato in segno di evidente disprezzo, dice "Lo so benissimo, lo so benissimo". Esco dalla stanza: mi sento soffocare, in quella casa comincio a sentirmi a disagio, da lontano sento il figlio che canta "Ridi pagliaccio, col tuo amore infranto...". Esco, mi sento inseguito, anche se forse non è così... sento per la seconda volta il brano "Ridi pagliaccio...". Penso tra me e me "Formalmente ineccepibile, ma canta come Valeria Marini!".



Cambio.



Pomeriggio. Ed ecco Valeria Marini, sotto un porticato, in posa per un servizio fotografico. Ha degli infradito rossi, i talloni tutti screpolati e una faccia veramente straziata dalla stanchezza. Una tizia le dice "Scema, mettiti così", poi "Scema, ora così", "Scema, no, ho detto in questo modo" e intanto la poveretta borbotta sottovoce "Sìsì, scema... scema io!?". La tizia dice "Scema, togli le scarpe". Valeria dice "Ma sono scomodissime, fanno male... (finalmente!)". Le portano due vasche in pietra grigia scalpellata e grezza, grandi più o meno 80 x 40cm, profonde 20cm, e spesse 6-7cm che dovrebbe usare come scarpe!!! Metto i miei piedi dentro ma non riesco ovviamente a muovere nemmeno un passo. Le rifiuto e mi chiedo come possa fare a camminare con quelle cose assurde!!!



Cambio.



Notte, marciapiede opposto al porticato. Davanti a me una piazza circolare con le palme e una quantità enorme di auto scorre intorno alla rotonda con le palme. I fari delle macchine sembra che lascino la scia come nelle cartoline. Sento in lontananza la canzone "Lasciarsi un giorno a Roma" di Niccolò Fabi (una delle mie canzoni preferite in assoluto), e mi compaiono accanto due ragazzi, che detesto entrambi. Con uno non parlo più da anni, con l'altro c'è un tacito accordo di non-belligeranza. Provo disagio, rabbia, ma anche nostalgia. Cerco di salire in piedi su un cubo (un pacchetto che contiene non so cosa, di colore rosa) e su un flacone di schiuma da barba, bianco e celeste, un piede per parte. "Dai, su, vediamo se si può salire!". Metto il piede sul flacone e mi reggo solo su di esso, ma comincia a piegarsi dentro se stesso, e a perdere schiuma celeste da un punto. Lo lancio in strada con un calcio. Finisce sotto la prima macchina, rotola e va sotto la seconda, comincia a spruzzare... fino a che arriva la terza macchina (una Seicento nera) che lo fa esplodere, si riempie tutta la parte posteriore dell'auto di schiuma, l'asfalto è nero e celestino, ormai... e si sente una frenata rumorosissima, con rumori di rottami. Il giorno dopo ascolto il TG da un'altra stanza, dal quale mi aspetto la notizia dell'incidente della sera prima. Intanto mi preparo il racconto: con una piantina della zona sotto mano, faccio finta di descrivere al militare che mi interrogherà, mentendo sulla dinamica: "Guardi, io ho attraversato di qui, sulle strisce, mi è caduto il flacone e l'hanno preso sotto le macchine... Non può cadermi un flacone dalle mani???".



La sveglia... meno male, altrimenti finivo in carcere!



Chiaro.



Lasciarsi un giorno a Roma - Niccolò Fabi