Tutto in una notte...



Realtà: Al Centro Giovanile mancano i divani. Ieri era il compleanno di un amico, l'ho chiamato mentre ero al Centro per fargli gli auguri. Dei conoscenti, con tutta la famiglia, hanno aperto una pizzeria.
Sogno: arrivo con la macchina, dopo un percorso tortuoso, in un viottolo. Forse sto telefonando a quell'amico mentre sono alla guida, ma non ricordo bene. Alla fine c'è un edificio tipicamente anni '70, un mobilificio di dubbio gusto: la struttura è in cemento, acciaio e vetro; nella hall immensa (sembrava di essere al check-in di un aeroporto!) c'è un ufficio centrale, a giorno, con i vetri di cortesia... ma i profili dorati, bleah! C'è una sola pianta, ma nemmeno un mobile... Mi rivolgo a quella che sembra una cassa e trovo F., l'amica pizzaiola, la quale mi chiede se devo pagare la rata che dovevo al mobilificio. Io chiedo l'importo, perché non so quanto devo pagare, visto che è la prima; mi calcola l'IVA e mi dice 380€. Sta per scrivere la ricevuta, ma la blocco, poiché non ho soldi con me. Mi fermo a parlare con suo marito lì nei pressi della cassa e mi accorgo di essere circondato da divani tutti smangiati e laceri, mentre lui appare in tuta da idraulico (prima era idraulico, n.d.r21). Gli chiedo se ha dei divani da buttare (lo preciso più volte) per il centro, da trasportare quindi a 11 km di distanza: mi risponde ridendo sonoramente, e mi dice che ha appena aperto il mobilificio e cominciato a lavorare perciò non ha proprio il tempo di dedicarsi a queste stronzate.



Realtà: L è la mia prima grande fiamma, G è l'amico-guardia molto lontano, R. il frate (vedi Amarcord).
Sogno: Mi trovo in un negozio stranissimo (cioè so dov'è nella realtà, ma ora lì c'è una gioielleria), non è arredato e i muri sono scrostati con pietra a vista, le serrande sono alzate, non c'è luce tranne quella (poca) naturale ed è gremito di gente seduta per terra, su delle sedioline, attorno ad un tavolo. Riconosco solo L., ma ci salutiamo freddamente e questo mi meraviglia parecchio. Perciò mi allontano verso uno dei due ingressi e mi siedo per terra. Arriva una ragazza (so chi era, ma ormai non lo ricordo più), mi saluta guancia a guancia e io l'avverto che c'è L.; lei non capisce, devo ripeterlo 3 volte a bassa voce per farglielo sentire, in tutto quel chiasso! Dietro di lei appaiono di sfuggita R. e A. (l'amica tedesca... AAAAAAHHHHHH! I TEDESCHI ANCHE QUI!).
Ci trasferiamo in un altro locale, più avanti nella strada (ovviamente anche questo locale non esiste nella realtà): è un cunicolo stretto, maleodorante, scrostato, poco arredato e buio, gestito come bar-pub dal barista sotto casa. Siamo in venti circa, tutte persone che non conosco affatto tranne G. Alla mia destra c'è un posto vuoto e poi il muro, a sinistra la sedia vuota e poi G., molto strano! Forse mangiamo, sicuramente beviamo roba alcoolica perché sento di non essere troppo lucido. Sparecchiano e sul tavolo davanti a me rimane un pacco di cerini, G. me lo chiede e io per cortesia gli tolgo tre cerini (di un centimetro l'uno! assurdo!) e glieli metto in mano. Lui li butta per terra, e accende un raudo di quelli rossi potenti sfregandolo sulla scatola (che io ODIO! infatti in quel momento mi sono maledetto da solo, per aver fornito la materia prima per una cazzata del genere!), lo lancia fuori dalla porta, schivando il barista che lo guarda attonito. Io metto le mani alle orecchie e premo forte per non sentire, però il raudo esplode gradualmente, con piccoli colpi ripetuti, e alla fine fa una musichetta e si spegne! Si solleva la discussione su dove proseguire la serata (anche se fuori è giorno ...ma dentro è così buio!); qualcuno dice birreria, altri pizzeria, G. propone il casinò... e quindi si va al casinò. Io mi dissocio e proseguo la serata con alcuni di loro, sempre gente che non conosco.
Arriviamo in una piazzetta (che nella realtà non esiste): è sera, anzi notte fonda, ci sono tavoli, piante, luci e ombrelloni, negozi illuminati tutt'intorno; ci sediamo all'ultimo tavolo in fondo, con birre a volontà e mi fanno notare che quello di fronte a me è Ennio Morricone (premesso che ho visto solo un paio di settimane fa per la prima volta il suo viso in TV, n.d.r21). Io sono incuriosito, vorrei tanto parlare con lui ma è troppo lontano. Ad un certo punto gli chiedono di suonare qualcosa; prima dice di aver dimenticato l'armonica a bocca, poi ne trova una ancora incartata nella tasca interna del gilet verde militare da cacciatore che indossava e comincia ad emettere qualche suono. La piazza va in visibilio, chiedono altri strumenti e a furor di popolo sale sulla pedana con altri due sventurati muniti di armonica e cominciano a suonare "Malafemmena". Io mi avvicino per sentire meglio; tutta la piazza canta, più o meno intonata, ma una donna in fondo in fondo la canta all'ottava superiore, urlando: una GALLINA alla quale stavano torcendo il collo! Io urlo di farla tacere e in effetti il popolo si ribella, zittendola.
Piccolo spostamento (cit.): mi trovo sul terrazzo di un palazzo, forse vicino ai binari della ferrovia, e ho l'armonica di Morricone tra le mani, sembra una di quelle cinesi da poco prezzo, quasi un giocattolo. Provo a suonare ma non riesco a far nulla di sensato, e penso a quali nozioni di teoria bisognerebbe far ricorso per suonarla sul serio, da professionisti. La faccio scivolare tra le labbra, ma non scivola affatto. Allora la mordo per capire di che materiale fosse: si scheggia tutta, poiché è di legno rosso, col corpo in metallo. Comincio a sputare le schegge, sputo roba grigia a pezzetti, e se ne riforma sempre tanta, e continuo a sputare... e poi mi sveglio.