Tutto in una notte…



Manca l’acqua, tutta la città è in stato di assedio. Autobotti, calura, gente sudata (anche belle gnocche tipo la Cucinotta con il decolleté madido… non male come sogno!), barbieri incazzati e compagnia cantando. Non si trova da nessuna parte e ad un certo punto, camminando per le vie del centro, sento che nella farmacia si vende dell’acqua calda. Il cartello all’ingresso dice “Acqua calda. Non troppo.”, per lo meno ambiguo: non troppo calda o non troppa? Mi intrufolo nella folla ed entro. La farmacia è uno stanzone enorme, altissimo, scurissimo, scrostato, col pavimento di basole come se fosse una strada, erbetta tra le fessure inclusa; ci sono gli scaffali sulla sinistra, illuminati e puliti, ma con un “gusto” primi Novecento. Per il resto non si direbbe proprio che quella è una farmacia. Infatti, al centro della stanza, nei pressi della porta c’è un tavolino dove un tizio vende l’acqua calda. Intuisco che serve per l’uso immediato di levatrici e barbieri. Una donna, dalla bellezza molto sciupata, porge una lattina da tre litri e un bottiglione da due, di quelli per la candeggina, e il tizio (ex autista di autobotti) gliele riempie. Costa 5 centesimi, ma quando la donna sta per pagare, le alza il prezzo per un motivo che non capisco (il totale è di 6 o 7 centesimi). L’acqua la prendo io. Mi inoltro nello stanzone poiché sento delle voci di donna e vedo che l’unico modo per raggiungere l’ammezzato di fronte è una specie di scala a chiocciola nera in metallo veramente pericolosa posta sul lato destro della farmacia. Cerco di salire, ma soffro di vertigini e ogni passo è faticoso; mi resta impigliato il maglione nella rete metallica ma riesco nervosamente a liberarmi; faccio tre o quattro scalini in uno (boh, non so come… ma i gradini sembravano “diritti”). A metà strada la scala si fa strettissima, faccio molta fatica a salire, soprattutto le lattine mi danno fastidio. Arrivo in cima e con uno sforzo immane mi isso a sedere sul tetto (non era un ammezzato? Mah!) con le due lattine e capisco a cosa serve l’acqua lassù. Sono stanzoni, mansarde panoramiche (tutte le pareti sono in vetro) che accolgono ragazzi e ragazze tipo ostello della gioventù. Tutti sono nudi o quasi, si stanno preparando per uscire; a N. manca lo spazzolino… e in quel momento mi maledico perché non ce l’ho nemmeno io e sicuramente non scenderei a comprarlo, dopo la fatica fatta per salire! Due ragazze sono accampate sul tetto, in sacco a pelo (il tetto è in rame, credo, verdastro e con piccoli displuvi successivi, quasi ondulato, comunque orizzontale).





Cambio.


Sono in una struttura da caposcuola, mi viene in mente quella del campo 1994, abbastanza trascurata ma molto funzionale. Ci sono i ragazzi del centro giovanile, G. e M. (non sono quelli della rissa di martedì sera), ed E., l’altro educatore maschio (G. non viene al centro da metà dicembre, e la cosa mi dispiace). Stanno armeggiando al PC connessi ad internet… cercano i numeri di telefono dei calciatori. Trovano il cellulare di Gattuso con Google e scoprono che cambiando l’ultima cifra dell’indirizzo si arriva ai numeri di tutti i calciatori di serie A. Ma un rumore fastidiosissimo, un “trrrrrrrrr” cupo, potente ed insistente, mi distrae. Ne cerco la causa, e i ragazzi mi indicano una macchina per scrivere, dicendo che si sono incagliati i tasti. Vedo la macchina, una lettera 20 nera, ma non è lei la causa del rumore. Di fronte, su una scrivania c’è una macchina elettronica, ma con gli stessi tasti della manuale! I percussori sono sollevati ed incastrati, sembra che lo siano da giorni perché non è facile sbloccarli. Invece mi accorgo che più li abbasso e più si alzano, come attratti da un campo magnetico verso il rullo. Infatti comincio a giocarci: muovendo la mano su di loro, si muovono in direzione della mano… e i ragazzi, che nel frattempo si erano avvicinati, ridono di gusto!