Gente di parrocchia / che se ne va / dove gli pare / ma dove non sa...



E nel frattempo hanno fatto i cazzi loro: mi hanno condannato prima che io parlassi, hanno esposto le loro ragioni in modo che io capissi quanto male avevo fatto loro. Il bello è che so anche cose che non dovrei sapere, forse le peggiori, che - alla faccia della sincerità - sono state taciute ampiamente!

Non s'è preoccupato nessuno di chiedermi "ma come stai?". Oddio, una c'è stata, ma era la voce di uno che grida nel deserto.



Gli sforzi per ricominciare sarebbero praticamente tutti i miei: mia la rinuncia alla convocazione degli organici, mio il rispetto assoluto delle regole, mia la comprensione dei vari problemi esistenziali e/o di autostima delle coriste che, poverine, non vogliono sentirsi additate quando sbagliano, mio addirittura l'impegno di dover "cambiare carattere" (in subordine, il comportamento, perché c'è gente che non si capisce nemmeno con se stessa) per adeguarmi alle regole dettate dal coro.



Per secondo, gradite una fetta di culo in carpaccio con grana e rucola? No, eh, tanto per sapere, così mi attrezzo.











E' come il vitello tonnato che inesorabilmente inacidisce nelle vetrine frigorifere delle mense: si toglie la salsa vecchia, si mette quella nuova e... op!... ridiventa buona. Ecco, dopo dieci anni passati in questo coro, si ripresentano identici i problemi che avevo avuto dieci anni fa con l'altro gruppo parrocchiale. Cambiano gli attori, ma alla fine i meccanismi sono gli stessi: per loro bisogna reiterare i comportamenti appresi (selezione all'ingresso, disponibilità al sacrificio servizio, lingua affilata e che tagli possibilmente con complicità, familismo) fino alla fine dei giorni. L'apprendimento di nuove strategie è perfettamente estraneo ai loro canoni; niente può smuoverli dalle loro certezze. Non sarò di certo io a cercare di cambiare le cose, ma indirettamente lo farò: dico "ciao a tutti, grazie, è stato bello finché è durato" e chi s'è visto, s'è visto.